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Bengalesi a Roma e loro punto di vista la politica

BACHCU
Portavoce associazione Dhuumcatu, 10.10.2014
D: Come vede la situazione politica degli immigrati in Italia, alla luce della sua esperienza?
R: Quando sono venuto in Italia… Quando sono venuto è stato quasi venticinque anni fa. E in venticinque anni, fino a oggi, la situazione politica riguardo l’immigrazione è affron-tata dall’Italia sempre come un’emergenza. Cioè, non c’è un progetto chiaro su come si deve gestire la situazione. Oggi ho visto Fratelli d’Italia, questo onorevole dichiara che bi-sogna applicare la legge come fa la Germania, cioè quando l’immigrato non ha lavoro, do-po sei mesi deve lasciare il paese. Il problema qual è? Il problema è che gli onorevoli, i parlamentari, non sanno che già esiste questa legge. In Italia se un immigrato non ha lavoro, una volta rinnova il permesso di soggiorno per iscrizione al collocamento, la seconda volta, se non ha lavoro comunque non viene rinnovato il permesso di soggiorno: perciò amen, è finita! Perciò non capiamo la politica che vuole strumentalizzare la situazione. Il 18 ottobre a Reggio Calabria è stato inaugurato un partito politico . Ho già visto diversi loro comunicati: loro chiedono che gli immigrati senza lavoro devono andare fuori. Ma già ne hanno mandati fuori tanti! Già esiste questa legge. Eppure ancora accusano i lavoratori immigrati. Al di là di questa battuta, in venticinque anni ho visto questo: quando si è fatta la famosa legge Martelli, nell’89 , forse loro hanno pensato che gli immigrati erano una forza-lavoro, bisogna prendere solo quelli come manodopera. […] Perciò arrivano gli immigrati e iniziano a lavorare, poi chiamano la famiglia, nascono i bambini, crescono le seconde generazioni e diventano italiane. E gli italiani diventano neri, perché prima erano solo bianchi, adesso sono gialli, neri, senza naso, con occhi a mandorla, tutto. Adesso sono tutti italiani, ma prima c’era un solo tipo di italiani. Questo fenomeno gli esperti delle migrazioni non l’hanno capito: non era un progetto, e oggi che cosa accade? Circa quattro milioni di immigrati, di cui quasi un milione e passa di fedeli islamici. Non hanno capito: vengono fedeli islamici, buddhisti, induisti. Loro hanno dei culti, devono pregare. Dove? Non è possibile! Allora ogni comunità, ogni gruppo di fedeli, partono autorganizzati. E sappiamo bene che quando si parte autorganizzati è sempre una cosa precaria. Una cosa è l’intervento statale e un’altra cosa è l’autorganizzazione: prendiamo i soldi dalle nostre tasche, no? Se c’è il tappeto non c’è il tetto, se c’è il tetto non c’è la porta, se c’è la porta non c’è la finestra: l’autorganizzazione in ogni parte del mondo è così. Io nell’esperienza di venticinque anni vedo che noi immigrati siamo uno strumento, strumentalizzati politicamente, una volta nel bene, una volta nel male. Particolarmente prima delle elezioni, per avere un po’ di voti. La mia testimonianza: a Cremona ho assistito a un dibattito, un’assemblea pubblica in piazza, della Lega nord. A quel tempo, ’98, ’99, il problema era con il latte. Erano in piazza e dicevano che gli immigrati hanno rubato il lavoro, l’Italia agli italiani. Va bene, è giusto, fanno tutti gli applausi. Di tre persone intervenute sul palco, due le conoscevo bene, benissimo: erano datori di lavoro di indiani. Sul palco parlano contro gli immigrati, nelle loro fabbriche, nelle loro aziende agricole, ci lavorano gli immigrati per quattro soldi. Perciò si capisce la situazione: siamo strumentalizzati da tutte le parti. 
D: Si parla molto dei problemi di Tor Pignattara. Si dice che Tor Pignattara potrebbe essere razzista, c’è stato l’omicidio del ragazzo pakistano. A mio avviso è grave, sia l’omicidio che lo schieramento di parte del quartiere a difesa di questa persona. 
R: Allora, parlare di Tor Pignattara significa capire bene. Io non sono nato in Italia, ma so-no venticinque anni che sto qui, perciò qualche storia la so, sui romani. Tor Pignattara, Centocelle, Magliana sono tre quartieri famosi, può saperlo dall’ordine pubblico [forze dell’ordine], dove ci sono quasi l’80% di arresti domiciliari con obbligo di firma, ogni giorno della settimana. Se tutta Roma risulta 100, questi tre quartieri da soli risultano ottanta. Perciò i quartieri di Tor Pignattara, Centocelle e Magliana già sappiamo com’erano trent’anni fa. Trent’anni fa a Tor Pignattara dopo le sette di sera nessuno usciva per il buio, per rapina, per violenza. Nessuno usciva. I ragazzi giovani italiani si erano stufati: hanno lasciato questo posto e sono andati via, magari al Nord. Nelle case restavano solo i vecchi italiani, i loro genitori. A un certo punto loro si sono sentiti abbandonati da tutti: sia dalle amministrazioni cha dalle loro famiglie, dai loro figli. Questi signori che cosa fanno? A un certo punto dieci anni fa vedono una richiesta da parte degli immigrati per l’affitto. Loro affittano a 700, 800, 1000 euro e se ne tornano in Calabria, a Brindisi, a Bari, nel loro villaggio, e hanno la garanzia che a fine mese arrivano 800, 900 euro e 800 prendono dallo Stato, se sei fortunato, dalla pensione. Perciò sei di nazionalità italiana, ricevi dallo Stato 800, in più se affitti a un immigrato prendi altri 800 o 900, e così stanno tranquilli. Ma il problema delle persone nasce dove? Con la crisi. Anche al Nord iniziano licenziamenti su licenziamenti, i giovani italiani sono oggi senza lavoro. Di tornare in Calabria, a Brindisi, non gli va: e allora ritorniamo dov’era mio papà. Dove? A Tor Pignattara, a Centocelle, alla Magliana. Questi quartieri che avevano abbandonato per diversi motivi. Sia per la criminalità, sia per l’inagibilità delle case. Questa era la situazione. Quando dal 2003 in poi per il problema della crisi sono tornati, qui c’era tutta un’altra situazione. Nei garage che prima erano chiusi, gli immigrati hanno aperto le attività. Prima c’era il buio, adesso anche di notte c’è luce. Secondo il mio punto di vista dobbiamo capire questo: se un leone deve vivere, una tigre deve vivere, non può campare d’aria. Deve mangiare di sicuro una pecora o una gazzella. Perciò per far vivere un animale se ne sacrifica un altro, altrimenti il primo non può vivere. Se Tor Pignattara si è riqualificato, per noi si è riqualificato negli ultimi dieci anni. Perché prima c’era totale buio. Totale! È stato riqualificato, giustamente c’è più densità di popolazione, ci sono più posti per incontrarsi. Ma questo crea disturbo, perché alle otto un tizio aveva la possibilità già di dormire a casa, adesso sotto la finestra fino alle undici di sera si sente rumore. Certo che è un disturbo. Ma attenzione: prima era peggio. C’era un altro disturbo: non si usciva nel quartiere, per paura. Tor Pignattara, come in ogni parte, ci sono due tipi di paura. Io nero ho paura se vedo sette, otto ragazzi bianchi dell’età di diciassette, diciotto, di una ventina di anni. Io non passo vicino a loro, vado da un’altra parte. C’è anche la mia paura! La stessa paura di un bianco o di una bianca quando vedono un gruppo di immigrati che stanno parlando. Secondo me questa paura arriva dall’ignoranza: io non conosco e loro non mi conoscono. Io dico secondo me, secondo la mia testimonianza: io personalmente non passo davanti a un gruppo di ragazzi italiani di colore bianco. Anzi, italiani o non italiani, se vedo che sono bianchi, possono essere pure dell’Europa dell’Est o tedeschi, chi lo sa? Possono essere dei santi, ma se vedo cinque o sei, di età tra diciassette, venti, io non passo vicino a loro, ma vado da un’altra parte. Se vedo particolarmente che è notte, magari dopo le dieci, se li vedo a una fermata dell’autobus, non scendo lì, ma aspetto la fermata dopo e cammino indietro. Penso che anche gli italiani fanno la stesa cosa. Allora la paura c’è, questo è un problema che secondo me va risolto dalla politica. Dalle amministrazioni locali, per aprire diversi dibattiti, per invitare tutti e capire che noi neri non siamo portatori di virus. Che gli islamici non sono entrati in questo paese con le bombe in tasca. O al contrario, a noi devono dire che essere di colore bianco non significa che si vuole menare i neri, i gialli, i mulatti. A Tor Pignattara il razzismo c’è. Ma non solo a Tor Pignattara, a tutte le parti c’è. L’Italia è un paese dalla mentalità razzista. Questo si vede nel posto di lavoro. Intendo per razzismo proprio la discriminazione rispetto al colore della pelle. Non penso alla religione eccetera, ma proprio al colore della pelle. In Italia non si trovano due tipi di persone nei lavori dove c’è contatto con il pubblico. Per esempio nei bar non si trovano persone nere, della Nigeria, del Senegal, dell’Africa. Questo colore di pelle non lo trovi al bar, al ristorante, in nessuna parte d’Italia. Che significa? Che i clienti sono razzisti e il datore di lavoro non vuole correre rischi mettendo al banco del bar a fare il caffè un nigeriano o un senegalese. Perché il datore di lavoro non vuole perdere i clienti. Non c’è altra spiegazione. Io non ho trovato nessuno in tutt’Italia. Sono stato in 105 province d’Italia, dalla Sicilia fino a Bolzano, per motivi di lavoro: non ne ho trovato nessuno. Si trova un po’ il mio colore, dello Sri Lanka, si trova qualcuno. Seconda generazione dell’Africa si vede soltanto nelle gigantesche ditte del bar, tipo Nescafé. Qualcosa si trova, ma proprio Nigeria, Senegal non si trova. Perciò si tratta di una società puramente razzista. E un’altra faccia non si trova: la ragazza con il velo. Allora che significa? Significa: siamo puri razzisti. Questo è il mio punto di vista. Poi la politica attacca dividendo gli immigrati. Per esempio negli anni Novanta, quando sono venuto qui, io sono diventato razzista contro i marocchini. Perché per qualsiasi cosa dicevano: è stato il marocchino! Ma che cos’ha fatto il marocchino? Che ne so? Ha rubato: il marocchino. Ha ammazzato: il marocchino. Ha rapinato: il marocchino. Tutti, dal 1990 al 1995, qualsiasi cosa accadeva in questo paese, tutto ha fatto il marocchino. Dal 1995 finisce. Cambia il governo, le cose cambiano: immediatamente era tutta colpa dei polacchi! Però attenzione: non hanno potuto giocare bene questa carta, perché a quel tempo il papa [Wojtyla] era polacco, gli ha dato una bastonata: oh, dove vai? Perciò si sono fermati immediatamente, nel ’96. Dico questo perché sto qui dall’90, e queste cose le ho vissute. Dal ’96 iniziarono tutti ad attaccare gli albanesi. Qualsiasi cosa accadeva, Dio bono, erano stati gli albanesi. I ma-rocchini erano diventati bravi, i polacchi erano diventati bravi, secondo me sempre erano stati bravi, soltanto per attaccarli hanno fatto questo tipo di gioco. E li hanno attaccati per ben cinque anni gli albanesi. 2001: cambia governo. 11 settembre: tutti sono diventati bra-vi, tutta colpa dei musulmani! Dio bono, scoppiava un’automobile, era una bomba dei musulmani. Quattro anni fa a piazza Vittorio una metro sbatte contro un’altra metro , era un incidente: Dio bono che allarme a Roma: elicotteri, unità speciali antiterrorismo, artifi-cieri, tutti. Dopo trenta minuti il prefetto, il questore, fanno una dichiarazione: no, è un in-cidente nella metro! La stessa cosa circa tre o quattro anni fa, il tunnel che dall’Italia porta in Svizzera. Lì era un incidente causato da un tir. Hanno detto che erano i terroristi islami-ci ed è scoppiato tutto. Poi dopo mezz’ora hanno fatto una dichiarazione: no, è un incidente normale. Fino al 2006, 2007 fanno questo gioco. Cambia governo e iniziano con i rumeni. Adesso si sono fermati un po’ con i rumeni, perché prossimamente o attaccano i calabresi o i napoletani. Sicuro! Perciò si vede come i politici vogliono gestire l’immigrazione. Queste informazioni arrivano all’orecchio di chi arriva in questo paese, come il caso mio quando arrivai. Sentivo parlare del marocchino: marocchino, che fa il marocchino? Ti rapina, ti scippa, ti taglieggia! Veramente nei primi mesi io avevo paura. Poi piano piano ho imparato un po’ di italiano, poi ho iniziato a leggere qualche giornale inglese e ho capito che era la situazione politica a dettare queste notizie. Perciò il paese è razzista, Tor Pignattara è razzista… Non è questo il problema. Quella di Tor Pignattara è la mentalità di tutta la società borghese: siamo tutti razzisti. Non solo gli italiani, siamo tutti razzisti. Tutti. Io non do un lavoro a uno di una famiglia nomade. Ma perché? Ti parlo chiaro, perché la società italiana mi ha trasmesso l’idea che il nomade ruba e scappa. E daje… Perciò la società italiana è riuscita a trasmettere questa idea e a dividere questi gruppi. Politicamente il Comune di Roma ha progettato di dividere con i consiglieri aggiunti. Non lo so, ragazzi, se voi conoscete questo ruolo. Un finto ruolo: dentro un vaso ci sono solo fiori bianchi, mettiamo pure un fiore nero, che belli così i fiori, e che cavolo! [risata ironica] Li hanno messi istituzionalmente divisi! Cioè il rappresentante dell’Africa, il rappresentante dell’Asia, il rappresentante dell’Est Europa e così via. Perciò gli immigrati sono stati divisi. perché tu istituzione dividi per Africa, Asia e così via? Tu istituzione invece devi mettere come rappresentante chi ha preso più voti! Pur essendo considerato rappresentante dell’Asia, io so di avere miei elettori pure tra gli africani. Ma c’è un interesse politico per fregare la gente: se tu mi dividi in quattro continenti… Io la vedo così: Tor Pignattara è oggi molto riqualificato. Il Comitato Tor Pignattara, riguardo quest’ultimo omicidio … dico ultimo perché con un colpo di pistola è stato ucciso un bengalese cinque anni fa, sempre a Tor Pignattara. L’ultimo omicidio, secondo me, il comitato del quartiere era troppo legato alla famiglia di questo ragazzino. Mi dispiace per i minorenni, ma una cosa è se un minorenne dice: sì, ho fatto un errore. Ho fatto un errore, se sente dentro qualcosa. Un’altra cosa è se ha ammazzato e in più ha accusato affermando il falso, dicendo che era ubriaco. L’associazione Dhuumcatu ha sempre sostenuto che non era ubriaco, perché conoscevo quel ragazzo, era un praticante. Ai musulmani è vietato l’alcol, no? [risata amara] Era praticante-praticante lui, perciò non poteva bere. Poi ha detto che gli ha sputato, ma attenzione: è scienza, se sei ubriaco non puoi sputare. È una questione scientifica. Se uno beve non può sputare. Se invece uno fuma, sì. È una questione scientifica. Perciò anche le indagini che hanno fatto, se hanno creduto che lui era ubriaco, e hanno detto che ha sputato, già bisogna capire che un ubriaco non può sputare. Perciò mi dispiace solo questo: che questo ragazzino di diciassette anni, certo è un omicidio questo, ma dopo tutto questo fatto, lui non ha sentito la colpa e ha accusato falsamente. Sento anche un altro dolore: certo, ognuno fa la sua professione, è giusto che un avvocato deve difendere il suo cliente, ma c’è modo e modo, la difesa di questo ragazzo ora porta un’altra linea, dice che prima di prendere il pugno o i pugni da questo ragazzo, il morto è stato malmenato da un altro! Cioè, dai! Stiamo scherzando con una vita. Questo si chiama, se non è razzismo, sicuramente menefreghismo. 
D: Il fatto che alcune persone del quartiere hanno fatto la manifestazione a favore del ra-gazzo non è un segnale di sconfitta?
R: Sì, in questo un po’ di responsabilità c’è nel comitato del quartiere. Perché il comitato di quartiere qualche giorno prima ha fatto un’assemblea nella sala consiliare dove c’erano quasi trecento persone e quasi tutti gli interventi erano contro gli immigrati. Perciò quan-do trecento persone, non ragazzini ma padri di famiglia, prendono posizioni pubbliche contro gli immigrati, omicidi e aggressioni danno un appoggio [permettono di argomentare]. Anche dopo la morte, il Comune di Roma, gli assessori, hanno sempre appoggiato l’omicida. Dopo la morte il Comune di Roma ha mandato un blitz della municipale per i controlli: i controlli sempre contro gli immigrati. Hanno sequestrato frutta e verdura perché erano messe davanti ai marciapiedi. Certo, è illegale, ma non è, come si chiama… Certo, il giorno dopo l’omicidio il Comune di Roma fa questo tipo di operazione: che significa? Significa che appoggia chi dice che gli immigrati sono troppi, perciò il ragazzino ne ha ammazzato uno. In poche parole è questo! Perciò anche io lì vedo responsabilità del Comune di Roma, soprattutto del sindaco, perché il sindaco ha dato il via libera all’assessore alla sicurezza […]. Prima di fare questo, il sindaco dovrebbe interpellare esperti della criminologia, no? C’è un omicidio, dopo tre giorni c’è un altro omicidio: nel Municipio c’è questa situazione e allora mandiamo a fare una ripulita, no? Invece di parlare contro gli immigrati sarebbe stato meglio parlare con dei criminologi. Su questo il sindaco Marino ha fatto un errore gravissimo.
D: Il Municipio invece quanto è presente su questo territorio?
R: Il Municipio non è presente in nessun modo, tranne per il servizio dell’Ama e per le multe dei cappelli bianchi… come si chiamano? L’Ama, ormai, la gente sente puzza, e passano una volta. Meglio se passassero due volte… E poi i vigili urbani. Ma politicamente e socialmente non c’è nessun intervento. Abbiamo un cinema da vent’anni, quindici anni chiuso. Non c’è un posto di ritrovo, gli immigrati sono costretti a mettersi a ogni angolo tra le vie per parlare, perché non c’è un posto. Abbiamo chiesto un po’ di spazio al giardino di Centocelle, di quaranta ettari di terreno. Ma la gente dopo il tramonto non ci va perché ha paura di atti di criminalità. Abbiamo chiesto: datecelo a noi, senza soldi e senza nulla, lo sistemiamo noi. Così l’alta concentrazione [di immigrati] tra Tor Pignattara e Esquilino la spostiamo un po’ lì. Se lì ci mettiamo due gazebi, un maxischermo, ci mettiamo a vedere i film, facciamo dei dibattiti, no? Allora chi sta in giro sui marciapiedi può venire là. Perché dopo il tramonto nessuno va ai giardini, a prendere il rischio di rapine. Ma se c’è un’organizzazione, un gruppo autogestito, in una zona dove non ci sono vicini… Abbiamo chiesto se Municipio e Comune sono interessati. Non abbiamo chiesto soldi, noi sistemiamo tutto con le nostre tasche. Ma vedo che non c’è questo tipo di interesse.
D: Invece per quanto riguarda i rapporti tra i vari gruppi religiosi a Tor Pignattara? Sap-piamo che ci sono varie moschee bangladesi, cosa che ha creato delle difficoltà sul Tempo. Ci sono degli articoli di Francesca Musacchio particolarmente critici verso l’apertura di nuove moschee. Ho visto che la sua associazione Dhuumcatu ha organizzato una forma di protesta. Cosa può dire in merito?
R: Prima di tutto a questi giornalisti che scrivono dico di dire la verità. Lì c’è scritto: abusivo, costruzione, garage: tutto falso. È un locale C1, significa qualsiasi attività è permessa. Se è C2 significa garage, ma questo è C1 e non è sottoterra. Addirittura in questi locali prima c’era l’ufficio dei vigili urbani dello stesso Municipio! Nello stesso palazzo che loro hanno lasciato, dove c’era il loro ufficio, oggi si prega. Perciò non è un locale abusivo o un garage: tutte fantasie che scrivono i giornalisti. Ma non è il problema di quello che scrive il Tempo. Il problema è che i giornalisti non sentono il dovere, come dovere morale, di dare la notizia vera. Sarebbe meglio se i giornalisti scrivessero la verità. Invece non è andata così: uno scrive contro e si è rimasti contro. Gli altri giornalisti invece hanno la bocca tappata e non prendono posizioni, non so perché. Siccome non hanno preso posizioni gli altri giornalisti, non hanno detto la verità, le persone se leggono pensano: gli immigrati, così, in un garage, eccetera. E poi, essere musulmano già significa essere terrorista, se ha la barba vuol dire che sta proprio per saltare in aria, se ha un cappello in testa, Dio bono, ha proprio la bomba in tasca. Questi sono i messaggi che si dicono dei fedeli musulmani. La presenza delle sale di preghiera, attenzione: soltanto a Tor Pignattara ci sono più di quindicimila persone di fede islamica. Intendo dopo il Pigneto, da questa parte di Centocelle e da questa parte di Porta Furba. Ci sono quindicimila fedeli islamici! Allora quindicimila fedeli islamici fanno cinque volte al giorno le loro preghiere. Su per giù si trova quasi l’8% di praticanti. Su quindicimila l’8% è un bel numero, circa milleduecento. Queste mille persone devono pregare, se una sala contiene duecento, trecento persone, vuol dire che ti servono quattro, cinque sale. Il problema dei musulmani qual è? Prima erano due sale, ma il venerdì aumenta la presenza, dall’8% arriva al 20%, come la vostra domenica. Allora: la sala contiene duecento, trecento persone, e come si fa? Si prega sui marciapiedi. Perciò se prendiamo i marciapiedi siamo incivili, se apriamo un’altra sala di preghiera ci siamo allargati troppo: non so come possono fare questi fedeli islamici. Non solo: oggi va bene, i fedeli musulmani hanno numeri grandi, ma parliamo delle altre religioni: degli induisti, dei sikh. L’amministrazione ci deve pensare, non si può ospitare in casa le persone e poi chiudere la porta del bagno, altrimenti sono costretto a fare la pipì dalla finestra. E va be-ne, in qualche modo la faccio, magari nella bottiglia. E se devo fare proprio la cacca dove la faccio? Apri il bagno, oppure la faccio nella tua camera da letto, se non ho altro posto. Ringraziamo per l’ospitalità, ma gli ospiti hanno dei diritti. Sappiamo come comportarci nel rispetto dei diritti: non devo urlare, non mi devo ubriacare, non devo disturbare, lo ca-pisco. Ma il proprietario della casa deve capire anche che abbiamo dei minimi, fondamen-tali diritti. Ci ha aperto la porta, ha detto: va bene, entra, non restare fuori, al freddo o al caldo, entra a casa mia e dormi. Ringraziamo che ci fanno dormire, ma i nostri bisogni non sono solo quelli di dormire: abbiamo anche altri bisogni. E questo l’amministrazione non lo capisce, e da questo nascono i conflitti. E resteranno finché l’amministrazione non capi-sce. Affidandosi a degli esperti, perché io sono un cretino, non capisco nulla di questa politica, però sociologi, esperti di immigrazioni, devono avere modo di capire e guidare la politica, altrimenti un giorno scoppia la situazione.
D: In questi vari gruppi di musulmani esistono dei rapporti, un dialogo? E tra i vari grup-pi musulmani e le altre fedi, come gli hindu?
R: Sì. Questi templi hindu, per dare un’informazione chiara, sono solo di nazionalità ben-galese. Uno o due persone dell’India, di Calcutta. Ma hanno parenti in India e in Bangla-desh, perciò diciamo in poche parole anche loro parlano bangla, hanno parenti in Bangla-desh, a Calcutta parlano pure bangla, perciò anche se hanno il passaporto indiano anche loro sono bengalesi. I templi induisti a Roma sono una stanza affittata, sono autorganizza-ti, non ci sono altre nazionalità coinvolte con loro, perché non ci sono altri induisti stranie-ri, tranne qualche italiano del gruppo Hare Krishna, di questo settore filosofico, che è un’altra cosa. Ma proprio induisti non ci sono di altre nazionalità, è un gruppo specifico di bengalesi. Il rapporto con gli induisti è bellissimo, quando loro fanno festa ci sono quattrocento partecipanti, la loro festa è finita tre giorni fa , insieme al sacrificio di Abramo dei musulmani. Hanno preso una sala qua [la sala consiliare] e un altro gruppo era a Arco di Travertino [nel teatro della chiesa di San Gaspare]. Quattrocento persone presenti, loro al massimo erano cinquanta persone. Il resto dei quattrocento erano musulmani! Partecipano e danno coraggio: fate, siamo con voi! Anche io, per il mio ruolo nella comunità vado per salutare, per chiedere se tutto va a posto, a chi ha organizzato se serve qualcosa, se c’è qualche disturbo. Io ho fatto qui due giorni di visita, lì [ad Arco di Travertino] ho fatto un giorno. Proprio il giorno dell’inizio, il giorno della conclusione, se serve una mano. E così abbiamo dato i volantini dell’organizzazione, ancora c’è su Facebook dappertutto. Quel giorno iniziava la preghiera induista e coincideva con la festa islamica e tutti i fratelli e sorelle musulmani vivamente hanno pregato, gli iscritti dell’associazione Dhuumcatu. Hanno pregato vivamente a favore dei fratelli induisti. Di qualsiasi cosa gli induisti abbiano bisogno, di sostegno, glielo diamo. Per qualsiasi emergenza, ci possono chiamare, abbiamo dato i nostri numeri. Perciò lì c’è una convivenza al cento per cento. Poi per la fede islamica, ci sono rapporti con i fedeli del Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, in più Senegal. Anche tra di loro, vedo imam del Bangladesh che pregano con quelli del Marocco o Senegal, anche una volta la preghiera l’ha condotta l’imam del Senegal e i bengalesi pregavano con l’imam del Senegal. Perciò nella fede tra loro non c’è nessun tipo di problema, assolutamente. 
D: Le parrocchie cattoliche sono presenti? Danno una mano all’integrazione degli immi-grati o no?
R: Ci sono parecchi cattolici, hanno diversi punti di vista. Ci sono comunità che stanno sempre al fianco degli immigrati. Poi riguardo all’integrazione il discorso è diverso. Un’istituzione religiosa di una determinata fede non so come può favorire l’integrazione. Io parlo da operatore sociale: sono al cento per cento musulmano praticante, al centodieci per cento rispettoso delle altre religioni. A me non crea nessun tipo di problema se mentre io prego accanto a me un’altra persona prega, di qualsiasi altra religione. Parlo della mia personale idea. Perciò, quando gli induisti sono in difficoltà, scendiamo in piazza, noi Dhuumcatu sosteniamo tutti i nostri iscritti induisti. Se parliamo della Chiesa, parliamo di un altro Stato. Il prete interviene per dare un saluto, per sostenere i problemi degli immigrati. Il prete come persona fisica. Ma l’istituzione Chiesa non è mai venuta. In nessuna occasione: mai! Questo non dico che è colpa loro, ma attenzione, può essere imposto dal Vaticano. Qualche prete è venuto, ma era meglio se la Chiesa, e il prete, fosse venuto domenica, alla manifestazione in ricordo di questo omicidio . Se avesse preso il microfono e avesse parlato a favore della convivenza sarebbe stato più bello. Domenica abbiamo fatto la manifestazione a piazza della Marranella. Ma venerdì la chiesa ha organizzato una fiaccolata, noi ci siamo andati tutti lì, pure gli imam! Nulla a che vedere con la loro fede, con la croce. Erano quattro imam e sono andati lì, ma domenica non è venuto nessun prete. Nessuno dalla chiesa, per dire due parole, per far sentire la vicinanza del mondo cattolico. Conosciamo poi dei preti impegnati, uno di Caserta che va sempre a Ponte Galeria, che una volta si è incatenato , un altro gruppo sempre cattolico ma non proprio vicino al Vaticano, che ha partecipato a diverse manifestazioni contro il razzismo. Anche economicamente loro si impegnano per volantinaggio, danno i soldi per organizzare. Diverse persone conosco, ma sono persone: come istituzione Chiesa, nessuno.
D: Sul territorio i parroci del quartiere non fanno attività a favore degli immigrati? E ci so-no immigrati cattolici?
R: Certo che ci sono immigrati cattolici. Da una parte sono la minoranza, ma c’è una pre-senza per esempio dell’Est Europa, ma loro non sono più considerati come immigrati. Pensiamo ai sudamericani: loro sono cristiani ma non sono cattolici, hanno un altro tipo di Chiesa, non è Chiesa cattolica. Ci sono gruppi e gruppi, ma come istituzione no. Ci sono altri tipi ci Chiesa, per esempio i sudamericani, i filippini. Non so quali siano le differenze, non ho idea, però sappiamo che alcuni sono ortodossi, altri protestanti e allora non sono legati al mondo Vaticano. Il Vaticano forse ha problemi gerarchici e non vanno d’accordo con altre Chiese. Ribadisco che sarebbe stato meglio se il prete avesse preso il microfono domenica. Anche solo per fare un saluto, anche per fare una sua preghiera. Gli immigrati avrebbero sentito che il mondo cattolico sta con loro. Però tre giorni prima loro fanno la fiaccolata, prima ancora gli italiani manifestano per il ragazzo che ha ucciso. Poi se facciamo la manifestazione a favore del ragazzo ucciso tutti erano assenti. Significa che la situazione è difficile.
D: L’ultima cosa che vorrei chiederle è se ha idea di come si possa migliorare la situazione del quartiere.
R: L’idea è questa, non solo per Tor Pignattara ma da tutte le parti dove c’è un consistente numero di immigrati. Lì c’è bisogno che le associazioni italiane, i comitati del quartiere, si devono mescolare con gli immigrati. Negli ultimi cinque anni si stava cercando di avvici-nare gli immigrati. Poi il comitato del quartiere, attenzione, si fa chiamare Onlus, dice che è un comitato culturale, ma è sempre gestito dal Municipio locale. C’è un bel quadro poli-tico, parliamo chiaro: il comitato del quartiere si registra come Onlus, ma è mosso dal Municipio. Il presidente e gli assessori quasi telecomandano la situazione, per il loro futuro elettorale, parliamo chiaro! E loro, con qualche progetto e progettino, racimolano qualcosa e cercano di vivere così. La mia esperienza degli ultimi cinque anni. Attenzione: gli immigrati non avevano mai possibilità di avvicinarsi agli italiani, tranne nei centri sociali. Però gli italiani vedono gli immigrati che vanno nei centri sociali come quelli che vanno a vendere droga e consumare droga. Questa è la verità. I centri sociali: punto interrogativo. Ben visti dalla società italiana? Punto interrogativo. Parlo chiaro: la mia esperienza è che la maggior parte degli italiani dice che lì vendono droga, consumano droga, fanno i cavoli loro, la polizia non può entrare perché quasi tutti i centri sociali sono in posti occupati. Certo è comodo: certo che gli immigrati vanno lì, altro che socializzare: vanno a bere e fumare! Perciò noi immigrati ci avviciniamo per socializzare e dicono che andiamo in luoghi che sono il contrario della socialità. Il comitato del quartiere cerca gli immigrati soltanto perché qualche immigrato ha comprato qualche casa nei condomini. Perciò c’è attenzione soltanto perché il proprietario è un negro! Dobbiamo parlare, no? Sì, negro, però cavolo, ha comprato, no? Il comitato non se ne interessa, né il Municipio, perché l’immigrato non porta voto. L’unico sistema per integrare gli immigrati, per fare in modo che gli immigrati possono stare bene assieme agli italiani, è che l’amministrazione riconosca agli immigrati un voto amministrativo. Non dico che deve fare il parlamentare, però almeno votare nel Municipio. Quando io vado a votare, quando io porto sì o no, allora la mia presenza pesa. La mia presenza pesa. È l’unica cosa, con diverse associazioni di immigrati, commercianti, eccetera eccetera, il comitato del quartiere dovrebbe fare riunioni perché, ho già detto, ho paura quando vedo dei ragazzi bianchi, così un bianco ha paura quando vede un gruppo di ragazzi neri. Mia moglie è terrorizzata quando vede un po’ di ragazzi bianchi, mia figlia la stessa cosa. Lo stesso penso vostra figlia, vostra sorella quando vede noi. Ognuno ha paura dell’altro, c’è qualcosa che non va qui, qualcosa che non va. Il comitato del quartiere può presentare diversi progetti proprio con le associazioni di immigrati. Non dico chissà cosa, magari parlare una settimana di raccolta differenziata. Una settimana dei segnali del semaforo, del diritto di quando devi passare, quando non devi passare, no? Del traffico, di tutte queste situazioni. Incontrarsi una volta a settimana. Se si aprisse questo dialogo concreto, questa situazione di ignoranza un po’ può diminuire e aprire le porte alla vera convivenza.
D: Grazie.